Giada, colpo di coda dell’8 maggio! E’ da un po’ che non ti parlo della nostra squadra di calcio – in generale di sport perché, come sai, il com
Giada, colpo di coda dell’8 maggio! E’ da un po’ che non ti parlo della nostra squadra di calcio – in generale di sport perché, come sai, il compleanno palindromo non ha portato bene alla mamma. Tuttavia, la primavera porta consiglio, buone novelle e la voglia di rifiorire.
L’8 maggio mi hai donato i tuoi lavoretti confezionati a scuola e uno dei tuoi dolcissimi bacini.
Il più bel regalo fatto con le tue manine è stato l’insieme di disegni legati dal filo rosso che rappresentano te e me, con quel filo che simboleggia il cordone ombelicale che mai verrà reciso.
Il filo e il colore rosso mi hanno riacceso la voglia di raccontare, per cui ascolta bene la mamma perché:
tre Supereroi, legati indissolubilmente alle loro realtà sportive, hanno festeggiato proprio ieri il loro compleanno…
…Partiamo da Colui che scendeva in campo rosso di passione e nero di rabbia; uno che con un filo più resistente dell’acciaio e del marmo ha legato la sua vita al Diavolo milanese.
Uno che indossava la maglia numero 6 e che gli è rimasta praticamente tatuata addosso, perché nessuno dopo di lui l’ha mai più indossata. «Quella è sua e basta!».
Si chiamava Franco, ma per tutti era «il Capitano» o «il Kaiser».
Lanciato da Liedholm minorenne, a 22 anni si ritrovò capitano; a 27 guidò la squadra perfetta di Sacchi per poi proseguire con «gli Invincibili» di Capello.
Si ritirò nel ’97, a 36 anni, sudando sangue fino all’ultimo secondo.
Ricordo ancora la serata organizzata per il suo addio – la registrai su una cassetta VHS, ma la nonna, poi, ci registrò sopra «Pretty Woman»… Niente, la vedremo insieme su YouTube.
Veloce, agile, non lasciava passare (quasi) nessuno, anzi, rubava la palla e se ne usciva impostando da vero regista.
Un suo episodio che potremmo dire “epico”? Rompersi il menisco all’inizio del Mondiale per poi recuperare in 20 giorni per giocare la finale.
Contemporaneamente a Franco un altro regista impazzava a Milano.
Ci spostiamo dall’erba al parquet, dalle magie con i piedi a quelle con le mani, dall’intonazione bresciana a quella americana. Dagli scarpini neri alle scarpette rosse: Mike D’Antoni.
Lui metteva d’accordo tutti, milanisti e interisti; la mamma e il nonno bauscia.
Un playmaker veloce, agile, che rubava palloni a chiunque, e li passava a Dino Meneghin, a Roberto Premier, a Riccardo Pittis e a Bob McAdoo sotto la guida di Dan Peterson. Non a caso era soprannominato «Arsenio Lupin».
Nell’87 e ‘88 vinse due Coppe dei Campioni, che Franco alzò sul campo da calcio nei due anni successivi insieme a Billy Costacurta – soprannominato così in onore di uno degli sponsor storici dell’Olimpia, squadra per la quale ha sempre tifato nonostante l’origine varesina.
…Il filo rosso continua oggi…
…L’appartenenza, il colore e la lotta proseguono sui piedi di un ragazzo – lombardo come Franco, maglia numero 8 come Mike.
E’ già per noi milanisti un Supereroe per capacità e mentalità: a differenza della moltitudine, decise di abbassarsi lo stipendio per giocare nella sua squadra del cuore.
Chiamò addirittura Gennaro Gattuso per chiedergli il permesso di indossare la numero 8! Dice di identificarsi in lui e noi ne siamo contenti ma può ambire a paragoni con calciatori dai piedi più fatati.
Giada, non ti cito il suo nome perché lo sai già: è sulla bocca di tutti.
…A me piace parlare sottovoce in questa fase estremamente delicata e preferisco non nominare troppo, così come tacevo e non nominavo nel 1999. Ma con quest’ultima data ti ho già detto troppo!
Ieri è stata una Super Festa della Mamma, grazie a te, a un pandoro ben digerito e a tre indimenticabili compleanni.
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